domenica 22 settembre 2019

Articolo: Metti una serata trash: ovvero il divertimento assicurato made in Deutschland



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Non sono una con la puzza sotto il naso, anzi.
Da quando vivo a Berlino, dal 2016, ho imparato che non c’è nulla di cui stupirsi: puoi uscire in ciabatte e nessuno lo noterà, puoi aprire un negozio di cocci rotti e i tedeschi ti diranno amabilmente “oh komisch, aber schön!!!”, puoi avere la ricrescita al colore dei capelli e troverai sicuramente qualcuna che ti imiterà, non tanto per la sciattagine (il gusto tedesco è a volte geniale e di classe), ma perché sembra che ai tedeschi piaccia maledettamente il trash.
E’ come una forma di cultura che rende anche felici.
Ed ora ho capito perchè.
Per il mio compleanno ho ricevuto da parte di mio marito tre inviti a cena tutti made in Groupon, scelti accuratamente per farmi divertire e secondo quelle che sono, e lui lo sa bene, le mie preferenze: giapponese, francese, cena con spettacolo.
Il francese e il giapponese sono stati consumati quasi subito.
Niente da dire sul gusto francese, adattato perfettamente al contesto berlinese: il menù proposto dalla “Ganymed Brasserie” è stato eccellente e l’ambiente abbastanza neutrale con tocco squisitamente francese di musica e arredi.
Sul giapponese forse devo fare un po’ spallucce, mio marito ha scelto ciò che Groupon proponeva e non ha avuto molte alternative in quel momento, ma devo dire che “Lila Vietnam” di Mitte ci ha accontentato nelle abbondanti porzioni di sushi, nella immancabile, ma sempre buona zuppa di Miso, e nella coreografica scenografia di un presepe orientale composto da aironi, palme di cocco, fontanelle feng shui e lucine intermittenti stile natalizio.
Ma il vero stupore è arrivato un venerdì sera al “Wilde Matilde Bar, che consiglio vivamente almeno una volta nella vita.

Foto Irma Trotta
Una premessa prima del folklore.

Abbiamo avuto un’accoglienza invidiabile da parte di tutto il personale: la cameriera meravigliosa ci ha messo a nostro agio con sorrisi e premure indiscutibili; la soubrette, nonché principale intrattenitrice, ha svolto il suo ruolo in maniera impeccabile, e la cucina era ottima, con portate magari non proprio allineate con il contesto, ma ben cucinate e buonissime.
Detto questo, devo ringraziare l’adattamento eccellente di mio marito alle situazioni più disparate: è da lui che ho imparato definitivamente a prendere ciò che viene. Del resto, scegliendo Berlino per cambiare le nostre vite, sapevamo benissimo di doverci adattare ad una multi cultura più folcloristica, certe volte stravagante e spesso anche bizzarra.
Per questo i miei primi cinque minuti di sbuffi per il posto a sedere decisamente scomodo (un tavolo di 80×40 altezza ascella, seduti in quattro con poltroncine Capitonnè) si sono subito ridimensionati e l’umore riportato al motivo della serata: divertirci.
Il locale, come suggerisce il nome e anche l’icona di una vispa vecchietta con sguardo sagace e seni prosperosi avvolti in un attillatissimo decolté, si vuole collocare in un’epoca che può variare tra fine ottocento e i primi anni venti del novecento, il concept del locale preannuncia un viaggio scintillante e colorato tra gli anni 20 e 40.
Ho passato la prima mezz’ora a chiedermi cosa succederà in un posto così eccentrico pieno di colori e di elementi coacervi – parer mio – messi lì per confondere lo spettatore e togliergli il dubbio di essere nel posto sbagliato e nella serata sbagliata.
Dopo di che ho iniziato a studiare i dettagli sempre più Komisch: la scelta del look delle cameriere stile anni cinquanta e dei camerieri swing anni trenta, l’arredo misto Belle Epoque, i drappi settecenteschi delle tende, i tessuti in damasco dell’ottocento, gli sgabelli metà settecento e metà Art Dèco, l’illuminazione tra gli anni venti e gli anni ottanta, e la musica…

Quest’ultima mi ha sicuramente spiazzata e ancora adesso faccio fatica a capire gli abbinamenti originali scelti per lasciare sul viso degli ospiti l’espressione dello stupore con la domanda, almeno per chi non è tedesco, “Perché?”.
E poi le ballerine, a coronare la scelta musicale variopinta tra lo stile anni novanta-duemila della pop music di Christina Aguilera e il CanCan dei primi cinquant’anni dell’ottocento parigino, quello di Jacques Offenbach nella sua operetta Orpheus, ancora famosa e attuale attrazione del Moulin Rouge.
Ma gli avventori tedeschi sembravano apprezzare il pout pourri, battevano le mani a ritmo incalzante e anche mio marito ad un certo punto, che per il suo biondo quasi platino e gli occhi azzurri si mimetizza molto bene tra il popolo “Deutsch Original”, si è lasciato trascinare dal ritmo ciondolando le spalle.
Poi è stato il momento del cantante, con gli anni trenta di Frank Sinatra e degli anni cinquanta di ”That’s amore” del fantastico Dean Martin.
La prova del nove per togliersi ogni dubbio in fatto di originalità è arrivata con il trenino “Zum Geburtstag” a ritmo di samba in onore dei festeggiati che per l’occasione erano ospiti della serata.
A seguire disco music con “Born To Be Alive” di Patrick Hernandez, ma anche una Cher degli anni ottanta, e perchè non farsi mancare il balletto del famoso film Grease?
Tanto di cappello poi all’artista di giocoleria che con i suoi cerchi luminosi ha paralizzato gli spettatori con uno spettacolo di luci decisamente affascinante. Ci aspettavamo gli acrobati visto i trampolini e le funi appesi al soffitto, ma probabilmente non era quella la serata.



A far da intermezzo tra una esibizione e l’altra la mitica signora stile anni 30 con il cestino di profumati e coloratissimi mazzolini di fiori di campo  che passava tra i tavoli a venderti un po’ di primavera a 4 euro mentre fuori imperversa un vento gelido simil inverno.
Ok, concludo.
Seduta accanto a me c’è una signora variopinta inespressiva con sguardo vitreo, che ha ballato e battuto le mani per tutta la sera, insomma si è divertita come una matta. Eppure fuori di qui non scommetteresti un centesimo nel sostenere che nelle sue corde esiste la possibilità più remota di divertirsi a suon di Samba e Can Can.
Il popolo tedesco è eccezionale. Non voglio avere la pretesa di conoscerlo da sempre, ma dopo questo tempo vissuto in una città così eclettica come Berlino, mi sembra quantomeno di aver iniziato a catturarne lo spirito.
Non sono tutti freddi i tedeschi e soprattutto non lo sono nel cuore, ma senza ombra di dubbio sono un po’ trash.
Quella apparente legnosità nasconde una leggerezza: nei luoghi opportuni amano anche loro prendersi poco sul serio, perdendo l’inclinazione a sottostare ad un cliché che impone le regole e la perfezione a tutti i costi.
Ma quando devono divertirsi è tutto a briglia sciolta.
Fin troppo… o quasi.

Articolo: La Principessa, il Violino e il Sogno nel cassetto. Cecilia Crisafulli la violinista della Max Raabe & Palast Orchester.



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Chi mi conosce sa che ho una grande passione per le storie al femminile. In un’epoca nella quale la dimensione Yin è ancora surclassata da quella Yang, una donna deve ancora lavorare molto affinché la situazione arrivi ad un equilibrio accettabile. Ma non è questa la storia che voglio raccontare.
Ogni volta che conosco una donna scopro una persona speciale, ogni volta che scrivo una nuova storia ripiombo nel cuore di un universo nel quale brulica un’energia nascosta fatta di attimi indimenticabili, di vibrazioni connesse con il fulcro dell’esistenza, di passioni, di desideri, di sogni, di paure e verità.
Questa volta è Cecilia a muoversi, come una farfalla appena nata, nella mia testa dalla chioma rossa: Cecilia Crisafulli, violinista con l’aria da bambina, ma con l’esperienza di una grande professionista: basta vederla sul palco mentre muove il suo archetto tra una tessitura e un’altra per capire cosa le succede dentro.
Questa è la storia di una musicista italiana affermata all’estero e mai più tornata in Italia se non per qualche sporadico concerto con la Palast Orchester di cui fa parte dal 2007, e per riunirsi ogni tanto alla sua famiglia, di origine siciliana, che vive a Venezia.
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Suona da quando aveva 5 anni, prima il piano e poi il violino per stare vicino a papà Pierluigi, violinista anche lui per la Fenice (ormai in pensione), con cui si esercitava, studiava e si preparava per premi e concorsi. 
Le si accende una luce negli occhi mentre me lo racconta. Sospendo un attimo l’intervista, la fotografo, lei non vorrebbe, ma insisto: c’è un po’ di quella bambina adesso, che un po’ si commuove e che timidamente nasconde una macchia sui pantaloni che si è fatta durante la nostra colazione in questo tipico caffè berlinese, in una giornata piovosa, la prima dopo settimane di caldo torrido.
Sorride e continua a raccontarmi di come le piacesse stare con papà e di come mamma Anna Maria portasse spesso lei e sua sorella Valeria alle opere teatrali ed ai concerti per avvicinarla sempre di più a quello che poi sarebbe diventato il suo destino di musicista. 
La tappa obbligata è quella di quasi tutti i musicisti del suo calibro: diplomarsi al conservatorio nella sua città natale, Venezia.

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Sono anni intensi quelli del conservatorio, così come quelli di un’adolescenza a sognare ad occhi aperti una vita fuori da una città che lei stessa definisce un po’ cupa. 

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Poi la svolta:  il “Volli fortissimamente Volli”
Dopo il diploma decide di approfittare di un contatto sicuro in una delle città in assoluto più poliedriche in fatto di musica e arte: Berlino. Un amico di famiglia la mette in contatto con Axel Gerhardt, spalla dei secondi violini della Berliner Philharmoniker, il quale diventa il suo maestro e che confermerà la sua passione per lo strumento.
Parte, e in tre mesi impara il tedesco studiando giorno e notte per potersi iscrivere alla Universität der Künste, l’Università delle Arti, per conseguire il Diploma Musikerziehung, allo scopo di imparare come insegnare a suonare uno strumento musicale; e subito dopo gli esami per l’ammissione anche per la Künstlerische Ausbildung, l’indirizzo di studi che si frequenta per entrare nelle orchestre.
E’ un fiume in piena Cecilia, mi parla dei primi anni in Germania, del suo amore per Piergiorgio, suo marito, conosciuto qui a Berlino in visita per fare compagnia ad un caro amico di Cecilia venuto apposta per lei. 
Amore e musica che si alternano, tra l’Italia e la Germania, e poi il desiderio di suonare in un’orchestra che diventa realtà nel 2007, quando decide di partecipare ad un concorso.

Come nasce una Principessa
La Palast Orchester di Berlino, capitanata da Max Raabe voce solista del gruppo, indíce un concorso per la ricerca di una violinista. Cecilia è appena tornata dal Brasile dopo una vacanza e trova nella cassetta delle lettere la convocazione al concorso. Ha cinque giorni di tempo per prepararsi.

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All’inizio non è convinta, il tempo é poco. Poi spinta da una forza di volontà che le permette di ottenere ciò che vuole, come dice mamma Anna Maria, decide di prepararsi in quei pochi giorni e studia a memoria i brani richiesti. 
Cecilia Crisafulli!”, chiamano il nome di chi ha superato il primo ed unico turno inizialmente stabilito in due fasi. All’unanimità l’orchestra decide di passare l’archetto della vecchia violinista a Cecilia, senza ascoltare più nessun’altra artista. E’ successo davvero!  E passano un po’ di giorni affinché Cecilia inizi a credere a quella che lei definisce la realizzazione di un incredibile sogno.
Dal 2007 Cecilia è la Principessa della Max Raabe & Palast Orchester, così la definisce Max il leader dell’Orchestra berlinese, in un’ intervista sul Magazine “FŰR SIE, famosa in tutto il mondo per portare nei teatri più prestigiosi una musica rivisitata di brani contemporanei, e non, in stile anni ‘20 e ‘30.

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Cecilia è l’unica donna del gruppo, violino solista, sul palco di teatri come Canergie Hall di New York, Symphony Hall di Chicago e il Davies Symphony Hall di San Francisco, Musikverein di Vienna, Finlandia Hall di Helsinky e tanti altri, accompagna i suoi colleghi strumentisti e Max Raabe in una ensemble che si colloca nel periodo della Weimarer Republik. 
Lei adora questo genere musicale, ed è l’unico nel quale a distanza di 12 anni si sente veramente a suo agio quando suona.
Nel frattempo arriva il matrimonio con Piergiorgio e la nascita di Julia (4 anni) e Nicolas (15 mesi) con lei sui palchi di tutto il mondo.


E’ madre, Cecilia, è moglie e musicista professionista. Non rinuncia a nessuno di questi ruoli anche quando viaggia per i quasi 90 concerti all’anno. I suoi bambini anche appena nati l’hanno seguita affinché non soffrissero la sua lontananza. Julia e Nicolas hanno imparato a gattonare sul palco, tra una prova e un’altra, costantemente accanto ad una madre innamorata dei suoi bambini e della sua musica. 
Quando le chiedo chi si sente di più lei mi risponde “tutte”. 
E vuole che questo si sappia. 
Non rinuncerebbe alla sua carriera come non rinuncerebbe al suo ruolo di madre presente il più possibile; e questo me lo ripete anche quando la chiamo un giorno e sta preparando la torta per il compleanno di Giulia. 
La pervade un’energia incontenibile e sono catturata dal suo racconto che si fa più intenso mano a mano che andiamo avanti. Entriamo in qualche dettaglio più intimo come vecchie amiche, e ogni tanto i suoi occhi diventano lucidi e mi commuovo anche io. 
Mi canticchia “Mein kleiner grüner Kaktus”  mentre mi racconta l’aneddoto di quando incinta di Julia con questo brano la piccola si muoveva ritmicamente nel suo grembo. 


Siamo quasi alla fine del nostro incontro. 

I sogni di Cecilia
Ci siamo lasciate un po’ andare, ma è tardi e suo marito l’aspetta con Nicolas per andare a prendere Julia al Kita. 
Cecilia si ferma ancora un attimo quando le chiedo di parlarmi di sogni. 
Un sospiro dopo l’altro in attesa di dire la cosa giusta perchè sa che tutto questo lei lo vuole far sapere. 
Voglio essere chi sono”, lo dice quasi incerta ma solo perchè ancora non ha finito di dire ciò che ha da dire a proposito dei suoi desideri. 
Vuole essere chi è, rimanere sul palco di questa Orchestra il più a lungo possibile. Ha 36 anni Cecilia, ma pensa al suo futuro di artista ed è sicura che vuole continuare a stare sul palco. Non c’è altro posto in cui si veda. 
Poi accenna al suo paese. C’è un moto di nostalgia e delusione per essere anche lei, come molti artisti che hanno più successo all’estero che nel proprio paese, “Nemo propheta in patria”.
Il suo sogno è suonare ancora con la Palast Orchester in Italia (magari proprio alla Fenice di Venezia), e farsi conoscere come la violinista italiana del gruppo tedesco. 
Essere riconosciuta per strada e provare la sensazione di una stella come lei si sente quando sale sul palco. E’ meraviglioso come queste parole escano così spontaneamente senza riserbo alcuno. 
Cecilia è un’artista umile ed allo stesso tempo capace. Quando parla del suo lavoro diventa un’altra, ed è come se ti portasse con lei in un terreno di cui conosce ogni singolo angolo. 
Ho l’impressione che desideri far sapere al mondo intero, finalmente, del suo desiderio di emergere, di far conoscere la sua storia di artista, di donna, di madre. 
E’ bella Cecilia, di una bellezza che ti lascia a bocca aperta e non so proprio se son riuscita a comunicarvi la dolcezza e la caparbietà di questa incantevole artista che sembra appena uscita da una fiaba. 


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mercoledì 14 novembre 2018

Articolo: Cinque per uno, uno per cinque… voci davanti la Porta di Brandeburgo, ovvero il mio incontro fortunato con i “Mezzotono – Piccola Orchestra Italiana senza Strumenti”





Il telefono mi avvisa di un messaggio in arrivo. È Ruth che arriva con l’idea per un nuovo articolo: a Novembre c’è un concerto di un gruppo italiano di voci a cappella, i “Mezzotono”.

Nell’attesa di parlare con i protagonisti mi informo un po’ e mi immergo nel mondo della musica ancora una volta, a poco più di un mese di distanza dal concerto alla Berliner Philharmoniker.

Non cerco di capire nemmeno la ragione per cui le mie ultime storie mi portano verso la musica; del resto è una domanda superflua visto che sono circondata da musicisti in famiglia. 

Il Canto a cappella
La locuzione “a cappella” è usata nella terminologia musicale per indicare l’esecuzione polifonica per sole voci senza accompagnamento strumentale. La sua storia inizia con gli uomini primitivi che cantavano intorno al fuoco, e trae le sue origini dal canto gregoriano che era eseguito dalle sole voci dei monaci o dei chierici che costituivano il gruppo di cantori che si esibivano senza alcuno strumento.
La produzione di musica a cappella vede elaborazioni non solo di origine sacra, ma anche movimenti originali come il Gospel, lo Spiritual, il folk tradizionale irlandese, il Doo-Wop americano degli anni ‘50 e non di meno il canto Jazz in cui la voce è un vero e proprio strumento musicale. 
Il canto a cappella è un genere musicale singolare, o ti piace oppure no. 
In Nord Europa il canto a cappella, è ascoltato più che nel resto del territorio europeo: i gruppi canori, i cantori e i cori polifonici sono un must della cultura fiamminga e in Germania è un genere tradizionale nella cultura musicale.

Esistono anche importanti festival di musica a cappella: in Germania sono famosi il “Sangeslust” di Bayreuth e “International a Cappella Festival” di Leipzig, in Danimarca il “AArhus Vocal Festival” è il più grande festival dedicato alla musica vocale europea, a Praga il “Prague a Cappella Festival” e in Finlandia il “Tampere Vocal Music Festival”.

E in Italia i più nominati sono il “Vivavoce Festival – Italia A Cappella Summit” di Treviso, il “Vocalmente Festival” di Fossano e il “Solevoci Festival” di Varese.

I gruppi più famosi?
In Germania tre sono i gruppi che ho conosciuto facendo ricerca sul web: i più famosi sono i “Wise Guys”, poi gli “Onair” di Berlino e i “Van Canto” unici nel loro genere con brani Heavy Metal a cappella (anche se a volte uniscono alle voci anche la batteria). E nel resto del mondo, giusto per citarne tre, ci sono gli americani “Take Six” attivi dal 1987, i “Pentatonix” premiati con tre il Grammy Awards e i “The Swingle Singer”, gruppo nato in Francia nel 1962, ma ancora in auge e di base a Londra.

E in Italia?
Anche se nel nostro bel paese è preso ancora troppo poco in considerazione rispetto al resto d’Europa e del mondo, il canto a cappella ha vissuto negli anni più recenti un suo picco fortunato con l’arrivo dei “Neri per Caso” che nel 1995 vinsero il Festival di Sanremo con la canzone “Le ragazze” e che ottennero ben 6 dischi di platino con il primo disco.
Ma non è certo solo a loro che si deve la conoscenza in Italia del canto a cappella. 
Senza andare troppo lontano nel tempo e ripercorrere i successi del “Quartetto Cetra”, di Rabagliati e del “Trio Lescano”, i gruppi moderni più noti del canto a cappella in Italia oltre ai “Neri per Caso” sono i “Cluster”, gli “Alti e Bassi” e i “Mezzotono” appunto. 
Potrei parlarne per ore, ma non è questo il punto. 
Il punto è l’amore per la musica, lo sforzo che questi artisti devono fare per portare in scena un tipo di musica che conta solo ed esclusivamente sulla voce, e tutti i retroscena della vita di ogni giorno dei “pentatonici” artisti (di fatto molti gruppi a cappella sono formati da cinque cantanti che rappresentano cinque categorie di estensioni vocali diverse, anche se si possono avere fino ad otto estensioni vocali). 
Ho avuto la fortuna di conoscere in assoluto il gruppo italiano che vanta il numero più alto di paesi nei quali si sono esibiti: ben 47 in quattro diversi continenti.




Appuntamento alla porta di Brandeburgo con i Mezzotono: Mad in Italy from Bari.

Dopo vari scambi di email e dopo aver appreso che purtroppo per motivi logistici il concerto era stato spostato in un’altra città, i ragazzi decidono comunque di fare un salto a Berlino in una pausa del loro tour europeo.

Ci saremmo quindi comunque incontrati: avevo studiato per giorni il fenomeno del canto a cappella che non potevo lasciare in sospeso le mille domande che avevo.  Avevo inoltre preparato anche un piccolo tour nel quale li avrei accompagnati per mostrare i luoghi turistici più importanti di Berlino.

Ci incontriamo, come da programma, davanti alla Porta di Brandeburgo e, come spesso accade nelle giornate organizzate, il tutto ha poi avuto un seguito del tutto spontaneo stravolgendo tutti i programmi.

Ciò che guida il loro percorso è fondamentalmente l’istinto, il talento e il loro essere artisti in ogni cosa che fanno, e di questo istinto mi sono nutrita per conoscere questi musicisti che hanno fatto della voce una vera e propria passione ed un lavoro. 
Le informazioni che si sono susseguite durante il resto della giornata hanno avuto un percorso comune e distinto nello stesso tempo: i frammenti della loro storia insieme (14 anni) e quelli delle loro storie personali scandite tra gioie e delusioni, aspettative e successi.

I Mezzotono nascono così: “Da un tentativo di mettere insieme un gruppo canoro nel 2004, ma che si rivela appunto solo uno sforzo disatteso”, mi racconta Fabio, il fondatore del gruppo. “Poi non mi andava giù il fatto di non essere riuscito a completare quella che per me era un’idea bellissima”, continua Fabio, “… e così sono tornato a casa con l’idea di mantenere alto l’entusiasmo di questo progetto e successivamente ho chiamato gli artisti più bravi che conoscevo che, secondo me, potevano sposare l’idea di un gruppo canoro”.
Fabio Lepore – tenore, Andrea Maurelli – basso e beatbox, Daniela Desideri – soprano, Tanya Pugliese – mezzosoprano e Luigi Nardiello – baritono e beatbox, sono i componenti attuali dei Mezzotono che ho incontrato a Berlino. 


Ognuno di loro ha una storia, ma ciò che colpisce non sono certo gli aneddoti che raccontano divertiti ai loro curiosi interlocutori. Parlare di ognuno singolarmente sarebbe superfluo se prima non si capisce il concetto di “famiglia” che esiste tra di loro.

E Daniela lo spiega in maniera chiara quando parla di “sinergia, di mettere insieme più caratteri, più formazioni e più inclinazioni e far quadrare un equilibrio indispensabile per riuscire a cantare insieme”.

Condivide, Daniela, un concetto importante per un gruppo canoro che è la questione delicata dei sostituti, ovvero la possibilità che uno dei componenti del gruppo debba essere sostituito da un’altra voce perché si ammala, o perché semplicemente deve assentarsi per cause di forza maggiore.

Quando le chiedo come vivono questo possibile cambio di protagonista lei mi risponde che “non è facile perché ogni volta devi fare una sorta di accoglienza e far integrare la voce ai nostri suoni, e non sempre funziona. L’integrazione di un nuovo elemento in gruppo a cappella”, continua Daniela, “vuol dire integrare musicalmente, umanamente, caratterialmente l’elemento e farlo adattare nel gruppo come in una famiglia”. La parola magica che racchiude questo gruppo canoro è appunto famiglia. 
Alla sera, davanti ad una Schnitzel, una zuppa di patate e qualche birra i ragazzi mi regalano quello che mi riporta indietro alle tavolate con mio padre mia madre e i miei cinque fratelli. 
Condividono con me i loro i sogni.

Quelli di Fabio, soprannominato “il papà” del gruppo, che punta a portare i Mezzotono in tutto il mondo e che simpaticamente i suoi colleghi pensano stia puntando anche a Marte e Saturno.

Quelli di Daniela, “l’usignolo” così è definita nel suo profilo, colei che rompe i bicchieri, che porta avanti progetti ambiziosi di autrice di testi e di musiche per il teatro e per il cinema.

Quelli di Andrea, papà di tre bambini meravigliosi, che con determinazione condivide il sogno di artista canoro con il lavoro di ingegnere professionista.

Quelli di Gigi detto anche “il mammo” per la sua propensione all’ordine durante le tournée, la sua mimica facciale che cambia con il livello di passione che nutre per le cose della sua vita, come la passione per l’insegnamento ai bambini: non è un papà ma con mio figlio durante la cena si è potuto capire quanto gli piaccia interagire con loro.

E quelli di Tanya (figlia d’arte, suo papà ha girato l’Italia facendo musica con il suo Hammond) che aveva deciso di non voler andare al conservatorio, ma che grazie a sua madre che l’ha iscritta all’audizione di nascosto, ha cominciato a costruire la sua carriera di artista che si è fatta conoscere anche in collaborazioni con artisti di fama nazionale e internazionale.

Le loro singole storie e le loro professionalità sono unite dal sogno di dare alla musica maggior spazio possibile nella loro vita, e non è un caso infatti che quasi tutti insegnano musica e canto.

La Piccola Orchestra Italiana Senza Strumenti porta in giro per il mondo una gamma musicale molto varia: il jazz, il pop, bossa nova e mambo, il folklore, musica classica e cover famose di cantanti ed artisti nazionali ed internazionali.
I loro spettacoli hanno fatto il giro del mondo nei festival e nei teatri di 47 paesi in tutto il mondo, tra cui il “Dubai Jazz Festival”, il “Cairo Opera House”, “Jornadas Musicales del Norte” in Cile e in Argentina. e non di meno un bellissimo tour in Giappone. 

I due album “Mezzotono” e “Mad in Italy” hanno attirato l’attenzione internazionale. La loro canzone “Cime di Rape” è stata nominata nel 2016 a Boston per il “Contemporary A Cappella Recording Award” per “Best Humour Song”.

Hanno inoltre fatto parte del progetto “ItAcA – Italian A Cappella Project”, ideato da Alessandro Gnolfo e Lorenzo Subrizi, nato dall’esigenza e dal desiderio del mondo italiano a cappella di focalizzare tutte le voci e le passioni in un lavoro di connessione senza barriere.

E questa è solo la minima parte della loro esperienza; ci vorrebbe un libro per raccontare tutta la loro storia, i vari personaggi che si sono avvicendati in questa famiglia, gli aneddoti esilaranti che hanno accompagnato i loro tour e che mi hanno costretta alla contrazione ripetuta di tutti i muscoli facciali mentre li descrivevano.
Insomma, non saprei a cosa e a quale di tutte queste storie dare precedenza.

La musica ha dello straordinario nella vita delle persone. C’è una magica componente che affascina e ti porta ogni volta in un luogo diverso e, se hai la fortuna di conoscere l’esperienza artistica di un musicista, hai come la sensazione di viaggiare senza tempo né spazio nel suo mondo anche solo per pochi istanti. E per pochi istanti, sei felice e puoi volare risonando istantaneamente a certe frequenze senza avere il tempo di riflettere su cosa stia veramente accadendo ai tuoi sensi. 
Ed quello che è successo a me ascoltando cantare i Mezzotono, Piccola Orchestra Italiana Senza Strumenti. 

mercoledì 26 settembre 2018

Articolo: I sogni di Mozart: Il busker Davide Stramaglia sbarca a Berlino per l’evento alla Berliner Philharmoniker

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Il 3 Ottobre alle ore 15:00 a Berlino, presso la Kammermusiksaal della Berliner Philharmoniker, si svolgerà il concerto premiazione “Enlightened Piano Radio Awards”.
Questo evento, che ha come protagonisti musicisti di fama mondiale provenienti da tutto il mondo, ogni anno si svolge in una differente città e quest’anno è stata scelta proprio la meravigliosa location berlinese.
La Enlightened Piano Radio (EPR) è una stazione radio statunitense il cui scopo è diffondere musica di pianoforte attraverso lo streaming 24 ore su 24, 7 giorni su 7, e con servizi al pubblico quali laboratori didattici, ritiri e concerti.
Questa associazione di artisti, nata dall’idea dello statunitense Donovan Johnson per promuovere compositori ed esecutori di musica esclusivamente di piano, è orgogliosa di essere la casa di artisti che compongono musica per cinema e televisione, ma anche di musicisti itineranti che lavorano sia in modo indipendente che in gruppi. Gli artisti attivi che si possono ascoltare in radio sono già quasi 200.
Ed è proprio ricercando informazioni più dettagliate su questo evento che ho scoperto uno dei tanti mondi paralleli che costellano l’universo della musica, ed in particolare quello della musica di strada e dei musicisti di strada, i Busker.
Ma faccio un rewind.
Berlinitaly POST mi chiama per dirmi che c’è un interessante articolo da scrivere per me che amo raccontare storie straordinarie di persone conosciute nei modi più bislacchi: un artista italiano si esibirà in questo concerto-premio internazionale a Berlino: Davide Stramaglia.
Trovo l’annuncio dell’evento pubblicato dallo stesso Davide sul gruppo Facebook di Italiani a Berlino. Nasce in me l’immediata curiosità di conoscere questo artista e gli scrivo.
Una vita da busker
Davide mi risponde subito ed organizziamo una chiamata video dato che lui vive e lavora a Londra da sei anni.
E’ una furia di informazioni che iniziano ad accavallarsi quelle che mi da Davide: i primi quindici minuti di intervista sono quasi ipnotizzata da quell’entusiasmo che stravolge completamente la mia scaletta di domande.
Ricapitoliamo un attimo e lo blocco per recuperare un minimo di ordine e partiamo dalla parte finale di questa storia, ovvero dal suo attuale lavoro.
“Faccio busking”, mi dice con un bel sorrisone sulle labbra e, convinto probabilmente che io non sappia cosa sia, mi spiega in poche parole di cosa si tratta.
“Fare musica da strada è la mia vita da quando sono approdato Londra sei anni fa, e pensare che non ci volevo nemmeno venire io qui, non mi interessava proprio!”.
Davide infatti non parlava nemmeno una parola di inglese eppure, nonostante abbia superato la trentina da un po’, con l’entusiasmo di un ragazzino decide di lasciare il suo piccolo mondo in Italia (quattro band nelle quali suonava e un lavoro da corriere) e lavorare a Londra prima di tutto per imparare la lingua.
Si ritrova così a suonare alla King Cross Station: la mitica stazione da dove Harry Potter parte dal binario 9 e 3/4 per la sua grande avventura da mago.
Per Davide inizia così l’avventura da musicista di strada, con i migliori auspici visto il successo di Harry Potter.
Nella King Cross e St. Pancras (la nuova porzione di stazione di King Cross) infatti ci sono dei pianoforti a disposizione dei musicisti da strada.
Questa meravigliosa iniziativa sembra essere partita dal progetto artistico di Luke Jerram, artista di installazioni britannico. Con il nome “Play me, sono tuo” sono stati installati 1500 pianoforti in 50 città in tutto il mondo da New York a Londra appunto.
Molti di questi pianoforti, terminato il progetto che è durato tre settimane nel 2012, sono stati donati in beneficenza, ma alcuni di questi sono ancora a disposizione per continuare a suonare proprio come alla stazione di St. Pancras a Londra.
Ma non è così tutto rose e fiori.
Davide mi racconta che i primi due anni e mezzo sono filati lisci come l’olio: “Avevo trovato un lavoro di tutto rispetto in un ristorante dove lavoravo occupandomi del delivery, ma ad un certo punto il titolare del ristorante, un personaggio molto volubile, mi lascia a casa concedendomi solo due mesi per cercarmi un altro lavoro”.
Davide si incupisce un po’ mentre mi racconta questa parte della sua vita, come se questa ferita fosse ancora un po’ aperta. Ma poi sorride a pieno volto e mi racconta di come dopo questo evento, decide di riprendere in mano la sua vita di musicista.
Costretto quasi alla fame, senza lavoro e senza casa, perché nel frattempo si separa anche dalla sua compagna italiana, nelle tre settimane nelle quali viene ospitato da conoscenti, matura la convinzione di voler solo suonare il pianoforte nella sua vita. Un giorno, a St Pancras, fermatosi a suonare in uno dei pianoforti a disposizione mentre andava a casa, scorge un cartello nel quale la Roland bandisce un concorso che ha come premio un pianoforte digitale.
Davide scrocchia le dita e ricomincia a suonare a tamburo battente: “Le mie mani non funzionavano più come il mio cervello le ricordava”, dice, “E credevo di non poter più suonare, di aver perso tutto quello che avevo imparato in tanti anni di conservatorio, quando i miei amici mi chiamavano Mozart. Ma non mi sono arreso ed ho ricominciato ad allenarmi seriamente ogni giorno, anche per otto ore consecutive con la mia tastiera da 700 Pound”.
Inizia a personalizzare brani famosi trasformandoli in nuovi capolavori. Le sue mani volano sui tasti come guidati da una forza quasi soprannaturale e questi suoni rimodellati dal suo genio diventano virali: su YouTube il suo video di Pirates Of The Caribbean e Game Of Thrones Piano ad oggi ha raggiunto quasi 6 milioni di visualizzazioni!
Si ferma di nuovo un attimo, fa un sospirone e mi racconta tutti i sacrifici fatti per riuscire ad arrivare dov’è adesso.
Il conservatorio dove è arrivato suonando solo con una mano perché fino ad allora aveva avuto una piccola tastiera regalo di sua mamma qualche anno prima; i duri anni nei quali ha dovuto mettere da parte la musica perché doveva lavorare, anche “vendendo aspirapolvere porta a porta”; quando ha perso il lavoro ed è rimasto senza una lira e ha dovuto lasciare la sua casa per recuperare qualche soldo; gli amici che l’hanno aiutato a sostenersi per qualche tempo; il suo nuovo lavoro di corriere per un grande spedizioniere e le sue band dove cercava di racimolare qualche soldo suonando in giro per locali.
E infine il giorno nel quale è arrivato a Londra con il suo sogno nel cassetto pur non sapendo da dove iniziare. Alla separazione dalla sua ex compagna fino all’incontro fortunato con Patricia, la sua attuale compagna, con la quale ha avuto una figlia che oggi ha poco più di un anno.
Tutto d’un fiato mi racconta i dettagli di questa avventura di cui va fiero e a tratti si ferma incredulo di quante cose è riuscito a fare in così poco tempo, lui che senza un minimo di esitazione dichiara apertamente di aver fatto solo la scuola media e che la sua unica istruzione è la sua musica coltivata in anni di conservatorio e per strada. 
 
Si definisce un busker a tutti gli effetti, 365  giorni all’anno lui esce di casa tutti i pomeriggi dopo aver accudito a sua figlia Grace tutta la mattina. E va a suonare circa sei ore in Underground.
Ma solo da qualche tempo in Underground perché “Prima…”, ci tiene a sottolineare, “suonavo con vento, pioggia e neve anche a meno 4 con le gambe paralizzate dal freddo e le dita delle mani assiderate con i guanti tagliati per avere la sensibilità alle estremità per sentire i tasti del pianoforte. Ma non mi sono mai arreso e mai mi arrenderò”.
Chiedo poi a Davide quali sono i suoi progetti e cosa sogna di fare in futuro.
“Un’audizione all’interno di un evento, un altro Awards, il “21st Century Icon Awards”, un ingaggio come pianista presso il Plaza Hotel di Londra, una band tutta sua con voci e strumenti, girare per mondo facendo musica Live. 
 
Una curiosità: Davide ha composto due album sino ad ora: “THE BIRTH” e “THE PATH”. Alcuni dei titoli dei suoi brani appartengono a periodi della sua vita molto particolari come “Fifth month” scritto al quinto mese di gravidanza della sua Patricia quando aspettava Grace, o “Anjelica” che racconta la perdita del suo primo bambino nel primo trimestre di gravidanza: tutti e due bellissimi e toccanti. Alcuni infine sono stati intitolati da persone speciali che hanno e fanno parte della sua vita, come “Ocean” (che suonerà a Berlino) il cui titolo é stato scelto da sua sorella.
Sentendo i suoi racconti e ricordando le centinaia di musicisti di strada incontrati in tutti questi anni, mi fa pensare che il tempo per un artista di strada non sia ne caldo ne freddo, e per le mani di un musicista questo tempo sia come il vento che passa sopra le foglie nuove in primavera e fa volare le foglie secche sui viali in autunno. E’ un tempo che passa, agli occhi degli ignari, inosservato a volte, ma con moti di sofferenza e gioia per altri.
Chi ha potuto vederli suonare sa che quel vento gli passa attraverso e tutto intorno e guida i loro progressi, le loro note, le loro performance, verso un misterioso viaggio che in ognuno di loro ha una diversa meta.
Devo chiudere la nostra conversazione mio malgrado.
Sono quattro giorni che ascolto questo musicista, che è responsabile di aver tirato fuori dal mio cassetto un vecchio amore verso il pianoforte e di avermi fatto apprezzare ancora di più le decine di artisti visti qui a Berlino, nelle strade, nelle stazioni, a Mauer Park e giù nella U-Bahn.
Grazie Davide per la tua musica.
 
Per saperne di più:
Berliner Philharmoniker
Davide Stramaglia
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giovedì 18 gennaio 2018

Articolo: La Fashion Week e le borsette e i turbanti di nonna Wanda

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E’ cominciata la Berlin Fashion Week 2018. Berlino, pur non essendo tra le prime capitali della moda come New York, Parigi, Barcellona e Milano (Global Language Monitor), riesce ad entrare in un rispettabile ottavo posto.
La kermesse è ospitata nella Messe Berlin, uno dei più grandi Enti Fiera in Europa, che ha messo a disposizione 180.000 metri quadrati che si articoleranno tra eventi speciali, sfilate per presentare le nuove collezioni e le nuove tendenze principalmente e quasi esclusivamente prêt-à-porter.
Non a caso Berlino è una delle quattro località più importanti al mondo per i congressi delle associazioni nella classifica attuale delle città della International Congress & Convention Association:
L’evento moda che alle origini veniva organizzato dagli stilisti per mostrare alla stampa specializzata e alle signore benestanti le proprie novità, è diventato un evento mondano e di comunicazione, per far conoscere la nuova collezione, ma soprattutto per ospitare in prima fila personaggi famosi, testimonial, blogger gli influencer che indossando i capi per indurre il pubblico ad acquistarli.
Secondo alcune indiscrezioni pre-evento, quest’anno la Berlin Fashion Week propone, molti stilisti start-up provenienti dall’Est Europa.
Come ogni capitale economica che si rispetti, Berlino, infatti, propone un tipicamente consumer, ma solo alla fine della manifestazione sapremo se la kermesse ha davvero raggiunto il suo scopo puntando tutto sul “ready to buy”, ovvero letteralmente al “pronto a spendere”.
Chiunque si trovi a Berlino in questi giorni, perché ci vive o perché è di passaggio, sappia che una cosa è certa: come ogni evento esclusivo, molte delle presentazioni e rappresentazioni delle nuove collezioni sono e saranno blindate e sarà possibile assistere solo su invito.
Per non deludere tutti, ci sono comunque diversi eventi a cui è possibile partecipare anche  senza invito (compresi i fuori salone): tutte le info sul programma le trovate a questo link http://www.fashion-week-berlin.com/kalender.html.
Ma dietro le quinte di questo mondo si muovono storie, avvenimenti, successi, fallimenti e speranze che non coinvolgono le “maison” più importanti, ma le nuove generazioni di stilisti.
Così scrive Antonio Foglio (docente e consulente in Marketing per l’UE e l’UNESCO) nel suo libro “Il Marketing della Moda” :
La Moda non è un contenitore vuoto o qualcosa di frivolo… La moda è concretezza, ha carattere e identità, da emozioni; non può essere astratta, ma neppure standardizzata, asettica, statica, canonica… E’ qualcosa di vivo, di fruibile, piena di senso e di significato… La moda è look , stile che prevalentemente diventa popolare per un determinato periodo. Tutto ciò aiuta a capire che quindi la moda è anche business,, lavoro, occupazione, professionalità e imprenditorialità…
Ecco quindi come nasce un’idea folle, un sogno, una passione.
Ecco come nonna Wanda divenne la musa ispiratrice di Miss Flapper.
La storia di una stilista italiana tra Milano e Berlino.




La nonna Wanda
La nonna Wanda
Sonia è una stilista italiana che ha iniziato a costruire il suo sogno dieci anni fa, il giorno in cui cercava tra i ricordi di nonna Wanda; una di quelle pochette che la nonna tirava fuori quando Sonia era bambina e che le mostrava insieme ai suoi cappelli e alle piume di struzzo.
La pochette la trova, ma non del colore giusto e per questo inizia a cercarla tra i mercatini del vintage. Ma purtroppo non la trova e decide quindi di produrla da sé… da quel giorno scopre cosa vuol fare da grande.
Pur lavorando come educatrice per disabili e minori con situazioni famigliari difficili all’interno di una comunità, riesce a dividere nettamente i due mondi prendendo ago e filo e producendo a mano le sue borse che piano piano assumono una tale bellezza da essere scoperte da chi è dell’ambiente degli eventi di nicchia.
Conosce personaggi come Elisa Boldori e il suo progetto Vanitas Market, mostra mercato della moda d’Epoca a Cremona e successivamente Daniela Sagliaschi con il suo Circo delle Pulci a Milano. Tutti ambienti Vintage dove le sue borse riscuotono interesse.
Ma l’alchimia vera e propria accade il giorno che atterra a Berlino per una vacanza.
Qualcuno le parla del Bohéme Sauvage, un evento omaggio improntato sugli anni 20 o, come dice la locandina esposta nel sito, “Eine hommage an das nachtleben der zwanziger jahre”, ovvero, un omaggio alla vita notturna degli anni venti.
Un tuffo al cuore che la riporta alla nonna.
Riscopre la sua essenza e decide di chiamarsi Miss Flapper, un po’ come era la nonna: una donna che non aveva nulla da perdere, con un grande coraggio e la spregiudicatezza degli anni ruggenti.
Decide così di produrre copricapo anni ‘20 ‘30 ‘40.
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Inizia a viaggiare alla ricerca di tessuti pregiati e per trovare l’ispirazione di quegli anni: è l’epoca delle flapper girls, le ragazze non sono più quelle di un tempo, desiderano studiare, iniziano a fumare e bere cocktail, le forme si assottigliano, non sono più le burrose tutte curve, ma diventano sempre più filiformi.
Il reggiseno prende piede in questo periodo, come metodo per “nascondere” e appiattire il seno, i capelli si accorciano, si utilizzano le cloche, cappelli dalla linea arrotondata, mentre lo stile diventa quello che si definisce alla garçonne.
Quindi lascia Milano e si trasferisce a Berlino per un anno. Poi ritorna a Milano portandosi dietro l’esperienza in una città poliedrica e con una grande volontà di crescere e con una grande voglia di rivalsa dopo la caduta del muro.
Lascia il suo lavoro definitivamente e durante questi passaggi conosce Carlotta Proietti, figlia dell’attore Gigi Proietti, attraverso la costumista di famiglia Isabelle Caillaud, con lei collabora per la realizzazione di turbanti e accessori per il suo spettacolo teatrale.




Model: Floriana D'Ammora - Photo: Battistini
Model: Floriana D’Ammora – Photo: Battistini
Poi il Burlesque, già conosciuto a Berlino tramite gli eventi del Bohème Sauvage. Entra in contatto con Floriana D’Ammora bellissima nota nell’ambiente per aver fondato il Burlesque Cabaret di Napoli, conosce Clio Viper unica artista del nostro paese selezionata per il Burlesque Hall Of Fame Weekend a Las Vegas. E ancora Wonderful Ginger, produttrice di routine creative e spiritose e di costumi strabilianti, Vincitrice del Vertigo Burlesque Festival (Roma, 2015).
È un fiume in piena Sonia alias Miss Flapper, devo fermarla con un’ultima domanda ma non prima di avermi parlato ancora dei suoi progetti più importanti.
Sbarcare in Inghilterra dove vive la sua ex cliente amica e socia in affari Francesca Manca e lanciare la linea Luxury Collection e portare a compimento il “Progetto Donna”.
Quest’ultimo è un progetto sociale di sostegno per le donne che lottano contro il cancro e per il quale già collabora con un’equipe in una clinica privata del nord.
Il suo sogno è portare questo progetto nel pubblico affinché tutte le donne possano permettersi di poter scegliere una delle sue bellissime creazioni durante la dura prova della chemioterapia.
Le chiedo finalmente qual’è in questo momento il suo desiderio.
Lei si ferma, sorride e si imbarazza perché ne ha uno piccolo piccolo, da bambina: avere un cane.
Ecco.




Sonia
Sonia
Lei è Sonia Conca alias Miss Flapper.
Da conoscere. 
Devo dire grazie di nuovo a Filippo e al suo italianissimo bar “Milanese del Tacco” a Wedding e a Gherardo uno dei suoi clienti più caleidoscopici che mi ha fatto conoscere Miss Flapper
Berlino ha fatto centro ancora una volta.

lunedì 4 dicembre 2017

Articolo: Le api di Humboldthain




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Premessa
Il fenomeno degli apicoltori cittadini (gli Imkern) ha preso piede da molti anni.

Persone con pezzi di giardino adiacenti al loro appartamento, o terrazze che si affacciano in prossimità di parchi e vaste zone di alberi, hanno deciso di fare dell’allevamento di api e della relativa produzione di miele, uno dei passatempi più interessanti da coltivare nelle grandi metropoli. Per prima New York, ma poi Parigi, Londra, Berlino, Toronto, San Francisco e Melbourne sono le città che hanno cominciato a produrre questo nettare dorato; ma anche in Italia (Milano e Torino ad esempio) hanno iniziato da un po’ a dedicarsi a questi operosi e affascinanti insetti. 

C’è da chiedersi se ci sono piante sufficienti a soddisfare questo lavoro e la risposta è presto fatta: certo che si! Molte persone in città amano tenere fiori sul balcone, le città sono ricche di giardini, di biotipi ideali (quelli asciutti), superfici incolte e parchi. Spesso in città il clima è anche più mite della campagna e le api volano quindi per un periodo più lungo. In città la loro stagione inizia generalmente un mese prima che in campagna e dura di più. Inoltre in primavera fioriscono il ciliegio e il tarassaco e a fine estate girasole e la lavanda: da queste piante si trae un miele molto profumato e utile come energetico il primo, depurativo il secondo, ricostituente il terzo e calmante l’ultimo. 

Le ragioni che spesso portano ad autoprodurre il miele in città sono inoltre la  eco-sostenibilità, il bio monitoraggio e la riqualificazione urbana. 

Rispetto alle loro cugine di campagna, le api di città presentano un altro vantaggio: soffrono meno l’effetto dei pesticidi utilizzati in agricoltura che danneggiano il loro sistema nervoso, interferendo sul senso dell’orientamento. Di contro, però, in città c’è un maggior inquinamento da gas di scarico, che pare, guarda caso, non nuoccia più di tanto alle api. Le sostanze nocive sembrano non compromettere nemmeno la qualità del miele: il corpo delle api, infatti, funziona come un filtro che impedisce ai veleni di finire nel miele. Secondo alcuni studi, inoltre, il miele cittadino non è più inquinato di quello di campagna. 

Insomma, a dispetto dell’inquinamento le api di città, che hanno fiori molto vari e più o meno tutto l’anno, sono più “produttive” di quelle di campagna.
Senza dimenticare che spesso la produzione di miele viene considerata dagli apicoltori cittadini come un interessante integratore di reddito.
Una piccola curiosità scoperta leggendo qui e la:  le api comuni sono in grado di “vedere” il campo elettrico dei fiori e così orientarsi nella scelta. Lo stesso potrebbe accadere per tutti gli impollinatori.

I sensi delle api, dei bombi e di altri imenotteri permettono loro di vedere la luce ultravioletta e polarizzata, percepire le molecole, distinguere forme e segnali e ascoltare l’eco dei suoni.

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La storia di Ulla e delle sue api
Molte delle  api di Humboldthain, un meraviglioso parco nel quartiere di Wedding a Berlino,  hanno un indirizzo specifico: abitano a casa di Ulla Grove simpaticissima e affascinante signora berlinese ed insegnante, che vive nel cuore di questo quartiere ed ha fatto dell’apicoltura la sua grande passione.

Siamo da Filippo, un signore distinto e sempre sorridente che gestisce un piccolo Caffè tutto italiano in Stettinerstraβe ed è qui che incontro per la prima volta Ulla. Da Filippo si incontrano sempre personaggi fuori dagli schemi, e il bello di venire a prendere un caffè espresso o un cappuccino super Made in Italy da lui è che non esci mai dal suo locale senza aver incontrato un personaggio speciale. 

Ulla è una di queste e mi racconta velocemente, di passaggio da Filippo,  della sua passione nel produrre miele e ci diamo appuntamento ad un evento di presentazione dei suoi prodotti; sono catturata dalla schiettezza con la quale si rivolge a me e mi invita prima di tutto ad acquistare un po’ del suo miele ed assaggiarlo. 

E’ il giorno dell’evento e mi accingo ad andare all’incontro. Sono a Berlino da poco più di un anno e il mio tedesco non è sufficiente per poter gestire una un’intera conversazione con Ulla, ma ho coraggio da vendere e con un traduttore per le mani e il mio quadernetto magico di tedesco credo di potercela fare. Berlino e i berlinesi, almeno dalla mia esperienza apprezzano chi si sforza di parlare la loro lingua. 

Ulla produce miele da circa sette anni e quando le chiedo da dove nasce la sua passione lei mi racconta una storia molto bella.
Quando era piccola ha vissuto quasi sempre in una fattoria condotta dai genitori.
Sebbene fosse piccina aveva ben chiare le sensazioni che la vita di campagna le faceva provare: il lavoro di cooperazione tra le persone che ci lavoravano le permisero di imparare il significato di una comunità che si occupa di portare avanti il lavoro duro della vita di campagna. 

Con un po’ di commozione e di rimpianto ricorda anche a cosa, da bambina, ha dovuto rinunciare, in termini di tempo, e di attenzioni da parte dei genitori, perché la vita di campagna era dura e spesso c’era molto da fare. Il gioco dei bambini diventava la campagna in tutte le sue forme, e nella vita di questa donna sembra essere molto radicato questo atteggiamento perché mentre ti parla si percepisce la vitalità rassicurante di una persona che non è stata minimamente intaccata dalla vita frenetica cittadina.

Sembra serena mentre mi racconta questo particolare della sua infanzia, perché credo che in fondo tutto quello che ha vissuto da bambina le ha dato la spinta per affrontare tante scelte nella sua vita. 

Le colonie di api hanno una vita sociale dalla quale Ulla è sempre stata attirata: le piace la cooperazione, il lavoro in team, il motto “tutti per uno e uno per tutti”, infatti  con lei collaborano diverse persone.  Mi porta su a casa e mi mostra la terrazza teatro di questa attività. Appena salita ho la sensazione di entrare in un’altra realtà, non si percepiscono grossi rumori di fondo, nonostante siamo in uno dei quartieri più popolosi della città e giù si muova il traffico dell’ora di punta.

In questo angolo di città, la terrazza di Ulla appare come nascosta agli occhi di tutti, un po’ spoglia da fiori e da piante, ma con il segno di un’estate prolifica.
Vasi e terra, che sono serviti per produrre anche frutta e ortaggi per conserve e composte,  si alternano al cemento e la luce naturale di questo pomeriggio di novembre amplifica la sensazione suggestiva che ne scaturisce.
C’è il segno di ciò che è stato e ciò che deve venire, ovvero la preparazione del materiale e delle piante che serviranno anche alle api nella prossima estate.
Ci si muove senza difficoltà vicino alle arnie e Ulla mi invita ad avvicinarmi senza paura: a Berlino ormai è praticamente inverno e fa freddo e le api ora sono come in letargo: non escono più dalle arnie se non eccezionalmente in cerca di cibo. In genere in questo periodo le api non escono dall’arnia, e si riunisco molto vicine in un gruppo ancora più ristretto per farsi caldo l’un l’altra mentre aspettano l’inizio della primavera.
Qualcuna esce timidamente dall’arnia, ma sembrano un po’ intorpidite.

Le chiedo da dove le api prendono il nettare e lei mi invita ad allungare il collo e guardare la moltitudine di alberi da cui è invaso l’isolato e mi ricorda del bellissimo parco a poche centinaia di metri, Humboldthain, pieno di castagni, tigli, acace, e fiori di campo che la città di Berlino cura con attenzione. 

Il governo di Berlino ha un dipartimento che si occupa della tutela dei parchi cittadini e dell’equilibrio naturale del relativo ecosistema, insetti e api comprese. Iniziative specifiche vengono supervisionate dall’Honey Regulation (HonigV) dal Bundersministerium der Justiz und fűr Verbrawcherschutz, ovvero un dipartimento che regolamenta l’allevamento delle api e la produzione del miele (Ordinanza sul miele del 16 gennaio 2004, Gazzetta ufficiale federale I, pag 92 e successive modifiche).

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Ulla ci tiene a dirmi che a Berlino ci sono associazioni che si occupano di riunire gli apicoltori con lo scopo di tutelarli e di favorire lo scambio di informazioni preziose su questa affascinante attività. 

Appena scendiamo Ulla è immediatamente alle prese con i visitatori e ormai credo di aver appreso più di quanto mi aspettassi e con un grande abbraccio e un sorriso (cosa non tanto tipica qui in Germania ma Ulla è una vera eccezione) mi congedo non senza aver acquistato tre barattoli di miele ognuno con un profumo diverso.
Il miele urbano può essere prodotto ovunque e da chiunque. Questa passione nasce dall’amore della conoscenza, in un parco cittadino, o sul tetto di una casa. Le arnie sono oggetto e meta di aggregazione culturale, sono una storia raccontata ai bambini.
Le api sono un importante indicatore dell’inquinamento ambientale, il termometro della salute delle nostre città. Senza le api ed il ciclo dell’impollinazione la nostra vita sarebbe praticamente impossibile, altro che nemiche…