giovedì 9 febbraio 2012

Storia: L'inizio: la storia delle storie


Non c'è un modo univoco per classificare la femminilità nella mia vita, c'è semplicemente il coraggio e l'equilibrio fantastico che sostiene l'essere maschile e femminile insito in ogni donna.
Ho scoperto, curato, pianto, donato, chiesto, risposto, atteso, e rivolto almeno un piccolissimo sguardo ad ogni donna della mia vita.
Anche a quelle incontrate per caso, viste solo per un'ora o solo l'attimo di incrociarle alla fermata dell'autobus, all'ufficio postale, davanti al bancone dei salumi al supermercato, in coda al cinematografo.
A nessuna ho negato me stessa.
A volte rispolvero le loro fotografie fissate nella mia mente: non posso fare a meno di nessuna e a volte qualcuna mi manca terribilmente, perché è come aver perso una piccolissima parte della mia anima.
La prima in assoluto è lei: mia madre... la storia delle storie.
Il coraggio, la forza, la crudeltà, il dolore, la paura e il cinico e ribelle carattere per riuscire a tirar su sei figli, a sopportare la morte di fratelli, sorelle, figli, padre, madre, un pezzo dopo l'altro. E poi la sua malattia.
Posso dire di non aver mai messo al primo posto nessuna se non lei.
E questo ancora adesso, che stanca e abbattuta dalla malattia, si ostina a rimanere schiava della rabbia, come una bambina alla quale è stato fatto un terribile torto.
Pensarla sola e isolata nel suo viaggio, piangendo per la stanchezza e desiderando quella fine che a volte si cerca nel cuore, mi strugge. Ma, anche, mi abitua alla sua lontananza. Eppure lei ancora gioca e non abbandona la bambina che ha dentro.
A volte con un filo di voce, a volte squillante come la più terribile delle monelle, cerca se stessa attraverso i giochi di parole e i capricci che, imperterrita e cocciuta, adora far subire a chiunque le capiti a tiro.
Settantacinque anni di rocambolesche avventure: te le racconta come se quasi non fossero accadute a lei, esagerando nell'enfasi della massima espressione emotiva con i suoi tentativi di accattivante persuasione, per poi rimettersi nello stato d'animo del racconto e riprendere il filo della storia.
E così capita di vederla piangere per la vicina che ha perso il marito, ma poi ridere a crepapelle un attimo dopo, per lo stesso poveraccio defunto, dandogli del rompicoglioni; per poi ritornare a piangere ancora, per non tradirsi allo sguardo attonito del suo interlocutore che la scruta dubbioso.
Che fai Elena... ridi o piangi?
Si dimentica, a volte, della sua vera natura di stratega, che le ha permesso di vincere sul suo stesso cuore per trequarti malato.
Ti amo mamma. Ti amerò per mille altre vite.